L’umile morte, fine dell’esistenza tribolata di un musicista per vocazione, 1913.

Cartolina postale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, inviata da Stefano Gobatti all’amico Cesare Cugola (nota 12) di Melara in data 06.09.1913, tre mesi prima della sua morte.

Sul retro della cartolina si legge

Caro Cesare, senza far rumore, ti annunzio che sono ammalato sin dal 23 aprile scorso ed ora sono subentrato nella quarta malattia in compagnia delle altre. Sono qui su all’Istituto Ortopedico Rizzoli (ove si arriva col tram elettrico dalla piazza) già più di un mese. Vienmi a trovare che ne ho bisogno e mi farai molto piacere. Cordiali saluti a te ed ai tuoi cari. Aff.o tuo Stefano”.

Retro della cartolina


Stavano svanendo le ultime possibilità di riscatto del compositore ed insieme alle speranze si consumava ed andava esaurendosi anche la sua vicenda umana.

Stefano Gobatti a 60 anni.

Infatti il 17 dicembre 1913 Gobatti si spense all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, dove, a causa di una nefrite, era stato ricoverato per l’amoroso interessamento di alcuni amici intimi e dove era morto per denutrizione e grave deperimento organico (cachesia, dal certificato medico di morte). Non corrisponde certo a verità l’immagine di un Gobatti musicista maledetto, che trascorre i suoi ultimi mesi in un manicomio, malato di mente, in preda a manie di persecuzione: i documenti raccolti in tanti anni di accurata ricerca lo testimoniano inequivocabilmente. Egli anzi morì in piena lucidità mentale e vitalità artistica, coltivando il progetto di scrivere una nuova opera, di carattere comico dal titolo Il Re di Tambulina, tratto da un racconto contenuto nel romanzo per ragazzi La rupe dei gabbiani di Jul Sandeau. Gobatti aveva già contattato Clemente Coen (nota 13), giornalista, scrittore: “… Ho per la mente un soggetto comicissimo. Vedrà: io le studierò lo schema e lei mi scriverà la poesia”. In uno scritto di Clemente Coen, che si era recato a far visita al maestro poco prima della morte, si può leggere: “E il Re di Tambulina?”. “La fronte di Gobatti si rasserenò ed un sorriso gli sfiorò le labbra” – ricorda Coen. “Se faccio tanto d’alzarmi … – rispose Gobatti – … voglio proprio che ce ne occupiamo seriamente … Il Re di Tambulina deve essere un’opera da fare scompisciare dalle risate …”

“Gobatti ritornò col pensiero alle divertenti scenette dell’opera che aveva in mente e parlò a lungo, con molta giocondità, dei personaggi, dei costumi, delle figure umoristiche, con una chiarezza ed una esattezza da far credere che si trattasse di un lavoro già portato a compimento”. Così racconta Coen nelle sue memorie. Ma era ormai troppo tardi.

Si ha l’impressione che un destino avverso e crudele abbia perseguitato questo musicista che è vissuto solo per la sua arte. Un’aura di mistero avvolge tuttora la figura di un uomo sul quale è stato detto contemporaneamente tutto il bene e tutto il male possibili. Ma è certo che nessun destino avverso, nessuna stella malefica o malasorte perseguitò Gobatti: sulle sue disgrazie, invece, hanno avuto grande peso la Casa Musicale Ricordi, Giuseppe Verdi e un ambiente teatrale affarista.

Nel 1912, un anno prima della morte di Gobatti, un critico musicale sul “Giornale del Mattino” di Bologna (24/2/1912) così si interrogava: “E’ possibile, oggi, credere che Stefano Gobatti a vent’anni abbia ingannato con il trionfo de “I Goti” tutta una città e i pubblici esigenti d’Italia? Che il Carducci, il Panzacchi, e anche i librettisti del tempo, gli editori che se lo disputavano, tutti siano rimasti vittime di un abbaglio collettivo? O, piuttosto, ci troviamo di fronte ad uno di quei casi in cui l’uomo forte, ma non agguerrito, rimane travolto dalle camorre?” E il critico così si rispondeva: “Il tragico oblio dell’autore de “I Goti” è inumano e ingiusto: qualche misteriosa viltà deve essere stata compiuta contro la gloria giovinetta che metteva ali troppo audaci e si preparava a voli troppo arditi”. 

Gobatti passò sulla scena di questa vita sicuro solo di sé stesso e dell’arte sua. Il delirante successo non lo insuperbì, le continue avversità non l’abbatterono. Egli, infatti, trovò solo nella musica leragioni per sopravvivere fino a 61 anni; la musica supplì anche alle carenze affettive di una famiglia che non ebbe mai. Se una sua rivalutazione come compositore richiederà ancora tempo, sul valore dell’uomo, a questo punto, non restano più incertezze.

Sul Resto del Carlino del 20 dicembre 1913 viene pubblicata un’impressionante foto del compositore sul letto di morte.

Note

12 – Cesare Cugola (Melara Rovigo 1850 – 1940) a soli 16 anni iniziò la propria attività di maestro della Scuola elementare. Insegnò per ben 53 anni e ricevette la medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione al merito educativo. Fu anche insegnante di musica ed organista della chiesa parrocchiale di Melara, dove fondò una scuola di disegno ed arte, seguita da operai, muratori ed artigiani melaresi. Insegnò a leggere e a scrivere a bambini sordomuti, adottando un metodo ed una tecnica d’insegnamento all’avanguardia per i tempi, ottenendo risultati sorprendenti. Fu per 50 anni giudice conciliatore di Melara. Sposato con Carolina Stancari, ebbe due figlie, Teresa e Maria. Conservò con grande discrezione e sincera, totale disponibilità l’amicizia con Stefano Gobatti, alla morte del quale fu dichiarato erede universale delle sue poche cose. Morì a Melara nel 1940.

13 – Clemente Coen (Finale Emilia 1878 – 1962) fu direttore di banca, ma si dedicò soprattutto al giornalismo, alla scrittura, alla musica e alle arti. Fu cultore di memorie storiche e apprezzato giornalista e collaboratore di diverse testate, dando saggio della sua vena poetica, della sua fantasia di narratore e di fedele cronista e storico. Fu una delle ultime persone a visitare Gobatti sul letto di morte.

Giulio Ricordi (Milano, 1840 – Ivi, 1912)
Tito Ricordi, detto anche Tito II Ricordi (Milano1865 – Milano 1933),
Archivio Storico Ricordi Milano
Teatro Carlo Felice di Genova nell’Ottocento